La regione amazzonica è un’area che copre il bacino del Rio delle Amazzoni e si estende per sette milioni di chilometri quadrati perlopiù tra Brasile, Perù e Colombia.
È l’area geografica più ricca in termini di biodiversità del pianeta terra ed è abitata da trentatré milioni di abitanti di cui tre milioni di indigeni. Migliaia di indigeni sono minacciati da politiche di sfruttamento delle terre che mirano a convertire la foresta in monocolture e ad area dedicata all’allevamento. La terra viene saccheggiata inoltre per accaparramento di legname pregiato, minerali e metalli preziosi.
Già a partire da 2015 il TITA, in collaborazione con l’Associazione Chico Mendes, si è interessato alle condizioni delle popolazioni indigene dell’Amazzonia organizzando l’incontro “Esperienze e riflessioni sull’Amazzonia – Dai progetti di sfruttamento ad un autosviluppo sostenibile”, nel quale è intervenuta Deyanet Garzon, un’operatrice sociale colombiana, impegnata sui temi dello sfruttamento intensivo nell’Amazzonia e sulle sue ricadute ambientali e sui diritti delle popolazioni indigene.
Poi ancora nel 2020 il TITA organizza l’incontro con “Esperienze e riflessioni sull’Amazzonia”, con Yurij Castelfranchi, divulgatore scientifico, sociologo, giornalista, e Loretta Emiri, antropologa ed educatrice tra gli indios Yanomami in Brasile.
In questi incontri ci siamo interrogati sullo stato di salute di questa ricchissima regione, alla luce dei cambiamenti climatici e dello sfruttamento del territorio per fini economici, e sulle conseguenze che politiche miopi e criminali possono avere sulle minoranze indigene e sulla violazione dei loro diritti.
Qui sotto riportiamo un articolo apparso nei giorni scorsi su la Repubblica sulle condizioni della popolazione Yanomami, nello stato brasiliano di Roraima.
La strage degli Yanomami in Brasile, Lula porta aiuti alla tribù: “Ho visto un genocidio”
di Daniele Mastrogiacomo, La Repubblica, 26 GENNAIO 2023
Il presidente nello Stato di Roraima ordina un’inchiesta sulle morti provocate dall’attività dei cercatori d’oro illegali
“È finito tutto. Non abbiamo più paracetamolo, dipirone, per non parlare del chinino. Non sappiamo più come fare. Restiamo a guardare questi bambini, gli occhi sbarrati, la pancia gonfia per i vermi, ridotti a scheletri che muoiono lentamente. Mi asciugo le lacrime che mi bagnano il viso. Perché piango, piango tutto il giorno. Come piange il nostro popolo che vive la più grande tragedia della sua lunga storia”. Il messaggio audio su Whatsapp è una stilettata al cuore. La voce gutturale, disperata, interrotta da singhiozzi e da colpi di tosse, sembra arrivare dagli inferi. Ha percorso 14mila chilometri. Giunge dal cuore dell’Amazzonia, Stato di Roraima, nord est del Brasile. La terra degli Yanomami, 38mila indigeni raccolti in 371 villaggi distribuiti su un’area di 8,2 milioni di ettari. La più grande del Paese. Sconfina nel Venezuela e parte della Guyana. Il doppio della Svizzera. Comprende i comuni di Boa Vista, Alto Alegre, Mucajaí e Caracaraí, a nord ovest di Roraima, e ancora Rio Negro, Barcelos e São Gabriel da Cachoeira, nord di Amazonas.
L’appello disperato è l’ultimo di una serie lanciati nelle scorse settimane. Ma è dal settembre scorso che questo popolo combatte la sua battaglia per sopravvivere. Senza medicine, senza posti medici, assediati da 20mila garimpeiros, cercatori d’oro illegali, sono rimasti isolati e destinati a soccombere. Il presidente Lula ha deciso di andare sul posto assieme a Sônia Guaguajara, ministra dei Popoli Indigeni. È rimasto sconvolto da quanto ha visto e ascoltato. La gente si è riversata a Boa Vista e ha spiegato cosa stava accadendo. Mostra foto di donne e bambini scheletrici. Lo sanno tutti ma nessuno ha fatto nulla. Così davanti a questo lento massacro, portato avanti nell’indifferenza totale di Jair Bolsonaro e del suo governo, la tragedia è arrivata alle estreme conseguenze. Si stima che il 70% degli indigeni siano affetti da malaria ma che i casi riscontrati sono almeno 20mila. Ma si pensa che siano 48 mila. Girano le solite fake. Dicono che si tratta di indigeni arrivati dal Venezuela. Bugie per allontanare una verità sempre nascosta, smentita, rifiutata.
La malaria ha spinto le persone a bere sempre più acqua che però è contaminata dal mercurio usato per estrarre e lavare l’oro delle impurità dai minatori illegali. In più il cibo scarso e quello avariato, perché difficile da conservare, ha provocato forti diarree e la diffusione di vermi che hanno aggredito lo stomaco dei bambini. Una catastrofe: ne sono morti 570, secondo la denuncia di “Survival International” che da 30 anni segue e sostiene questo popolo ridotto a fantasmi. Lula è rimasto talmente scioccato da ordinare subito un’inchiesta per genocidio. Il ministro della Giustizia, Flávio Dino, ha disposto l’apertura di un fascicolo. Non riguarda solo i 20mila cercatori d’oro illegali, arrivati in massa grazie alla tolleranza del passato governo, ma anche i responsabili sanitari che non hanno garantito l’assistenza prevista, il blocco dei farmaci per una serie di truffe.
Sopra il cielo di Xitei e Surucucu, nel cuore del territorio Yanomami, volteggiano gli elicotteri dell’esercito. Lanciano con i paracadute cibo e medicine. Tra Boa Vista e Roraima decine di aerei fanno la spola per raccogliere gli ammalati più gravi. Vengono trasferiti in città. “Sembra di stare in guerra”, commenta Ricardo Weibe Tapeba, segretario per la Salute Indigena al ministero della Salute. “Perché è una situazione da guerra. La malaria portata dai garimpeiros ha invaso i villaggi che restano in balia delle criminalità organizzata. Ci sono molte persone armate che girano minacciando. Non hanno neanche paura dell’esercito”.
Vengono allestiti campi di assistenza sanitaria, si scaricano pacchi di medicine, flebo, chinino e il paracetamolo che era sparito. Ma c’è bisogno soprattutto di acqua. Quella dei fiumi e dei torrenti è ormai inquinata. Non si può bere, come non si può pescare e cacciare. Persino gli animali hanno preso il largo. La gente arriva sempre più numerosa, con barelle di fortuna, carriole, slitte trascinate a mano. Chi ha la forza solleva la mano, chiede aiuto, viene soccorso. Una corsa contro il tempo. “Guarda i piccoli curuminzinhos (i bambini indigeni)”, spiega un uomo in un video postato sulla messaggeria. “Tutti con la malaria, tutti gialli di malaria. Ce ne sono a decine, altri non riescono ad alzarsi. Stanno morendo e noi con loro”.
Immagini tratte dal libro “Amazônia” di Sebastião Salgado, Taschen, 2021.