Muri d’Europa

Negli ultimi 20 anni, nel mondo, la costruzione di barriere tra stati è aumentata senza sosta. Dal muro anti-migranti di Trump tra Stati Uniti e Messico, agli oltre 2700km del muro costruito dal Marocco nel Sahara Occidentale (Conflitti dimenticati: il Sahara Occidentale – TITA), da quello che separa israeliani e palestinesi in Cisgiordania a quelli in India costruiti nel tentativo di fermare migrazioni e per delimitare territori contesi. Nel 1989, anno della caduta di quello di Berlino, nel mondo si contavano una decina di muri, oggi oltre 60 e la spinta dei governi di molti paesi per continuare fortificare è in aumento. In più, anche dove non è presente una barriera “fisica”, la frontiera tende ad essere sempre più militarizzata.

Anche in Europa c’è una forte tendenza in crescita a costruire nuove barriere che delimitano le frontiere esterne che interne.  Se ne contano 19, per un totale di circa 1000km e altri ancora sono in via di realizzazione. Qui di seguito ci soffermiamo su alcune di queste.

Spagna (Ceuta e Melilla) – Marocco

La stessa Unione Europea, a partire dagli anni ‘90, ha finanziato la costruzione delle due barriere che separano le enclave spagnole in Africa di Ceuta e Melilla dal Marocco. Le recinzioni, alte sette metri e lunghe rispettivamente 8 e 12 chilometri, sono state costruite nel tentativo di fermare le migrazioni dall’Africa Occidentale, a supporto di una politica di respingimento repressiva, e diverse organizzazioni che si occupano di diritti umani hanno portato al centro dell’attenzione le azioni della Guardia Civil spagnola e delle guardie di frontiera marocchine. Nel giugno scorso l’ultimo episodio che ha richiamato l’attenzione dei media internazionali ha visto duemila migranti, per la maggior parte provenienti dall’Africa sub-sahariana, cercare di attraversare la frontiera a Melilla: almeno 37 persone sono morte, oltre 300 i feriti negli scontri o cadendo dalle recinzioni, 77 risultano ancora dispersi. Diversi rapporti di associazioni non governative e inchieste giornalistiche sottolineano le responsabilità delle forze di sicurezza spagnole e marocchine (In Europa il razzismo non è più un tabù – Internazionale)

Grecia – Turchia

Nei pressi del fiume Evros, in Tracia, è stato ultimato nel 2021 il muro al confine tra Turchia e Grecia, a seguito delle ripetute accuse che la Grecia aveva rivolto ad Erdogan di utilizzare i migranti come strumento di pressione politica nei confronti dell’Ue. La Grecia ha quindi intensificato lo schieramento di militari al confine e, ricorrendo a respingimenti indiscriminati, ha di fatto negato diritto di accesso alla protezione internazionale. Dai 12km del 2012, la barriera è stata estesa a circa 40 km con lo scopo di respingere le migrazioni dall’Afghanistan, che si sono intensificate in seguito della presa di Kabul da parte dei talebani, ma anche nel tentativo di scoraggiare gli ingressi da Siria, Kurdistan, Pakistan, Iraq, Bangladesh e Nord Africa. Il muro, che si serve di un sistema di sorveglianza avanzato che integra tecnologie all’avanguardia, intercetta i flussi crescenti di persone che intendono entrare in Europa centrale seguendo la rotta balcanica.

Bulgaria – Turchia

Questa barriera di 200 chilometri di filo spinato, che è stata costruita a partire dal 2014, dà continuità a quella greco-turca e tenta di fermare le migrazioni dal Medio Oriente, dall’Asia centrale e dal subcontinente indiano. La Bulgaria è stata più volte al centro di inchieste del Consiglio di Europa e dell’UNHCR per le politiche sul diritto di asilo e per i respingimenti collettivi, nonché per episodi di violenza sui migranti. Alle autorità bulgare viene contestata l’espulsione sistematica di migranti verso la Turchia senza valutare il rischio al quale si espongono persone in un paese che non si può considerare per loro sicuro. Ricordiamo per esempio che la Turchia, pur essendo tra i firmatari della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, si è riservata di applicarla solo per i cittadini europei. A dicembre, un rapporto di Lighthouse Report (Europe’s Black Sites – Lighthouse Reports), a conferma di quanto già portato alla luce da Amnesty International, denuncia gravi violazioni dei diritti umani ai confini con l’Ungheria e la Bulgaria, con la presenza di strutture non ufficiali in cui i migranti vengono trattenuti prima dell’espulsione.

Ungheria – Serbia

La barriera di oltre 150 km è stata innalzata tra il 2015 e il 2017. Sempre nel 2015 un’altra barriera era stata costruita al confine con la Croazia. In questi giorni però la Croazia è entrata in area Schengen e la frontiera d’Europa si sposta verso sud, con l’annuncio del primo ministro di non voler “erigere barriere, recinzioni e tanto meno fili spinati ai confini con la Bosnia”. Ad agosto scorso, Medici senza Frontiere aveva raccolto testimonianze che mettevano in luce la mancanza di assistenza, la detenzione illegale e l’uso indiscriminato della violenza da parte delle autorità ungheresi (Serbia-Ungheria: dati allarmanti sulle violenze indiscriminate al confine – Medici Senza Frontiere Italia). Il Responsabile Affari Umanitari MSF in Serbia commenta così: “Queste testimonianze dimostrano che gli Stati dell’Unione Europea continuano a usare intenzionalmente violenza e strutture non idonee e pericolose per dissuadere le persone dal chiedere asilo nell’Unione Europea. Investono in recinzioni di filo spinato e droni, mentre chiudono gli occhi di fronte alle violenze senza precedenti che continuano a consumarsi alle frontiere. Queste pratiche non solo causano gravi danni fisici e psicologici, ma spingono le persone ad intraprendere rotte più pericolose. “ 

Polonia – Bielorussia

Il numero dei migranti che cercano di entrare nell’Unione Europea attraverso la Bielorussia è cominciato ad aumentare sensibilmente a partire dal maggio 2021. Si tratta soprattutto di siriani, afghani e iracheni. Un ruolo importante nell’aumento dei flussi l’ha giocato il fatto che gli stati della UE sulla rotta balcanica hanno militarizzato sempre più le frontiere, scoraggiando i tentativi di ingresso e ricorrendo a respingimenti. Ma la scintilla che ha innescato la crisi al confine è stata la decisione dell’Europa di sanzionare la Bielorussia come reazione alla repressione degli oppositori interni e al dirottamento di un aereo per arrestare un giornalista dissidente. La risposta di Lukashenko alle sanzioni è stata un allentamento dei controlli sull’immigrazione in ingresso in Bielorussia, con l’intenzione di utilizzare i profughi come strumento di pressione. I migranti arrivano al confine dopo un viaggio che li ha visti arrivare in Russia in aereo, per poi entrare in Bielorussia e affidarsi ai trafficanti. Le autorità polacche hanno reagito dichiarando lo stato di emergenza, mobilitando migliaia di militari lungo il confine e ricorrendo a pratiche violente per impedire gli ingressi. Intanto la Polonia ha completato un muro alto 6 metri su circa 180km di confine con la Bielorussia. Ong ed attivisti continuano a denunciare respingimenti illegali e abusi (I profughi non sono tutti uguali. Ecco quelli che l’Europa rifiuta – Avvenire).

Tra gli altri muri d’Europa già esistenti o in via di completamento citiamo quelli tra i paesi baltici e la Bielorussia, per gestire i flussi in crescita per l’aprirsi di rotte alternative a quella balcanica e quelli tra i paesi baltici e la Russia, che in questo momento hanno acquistato un forte valore simbolico. Al contrario delle altre barriere, quella costruita dalla Macedonia del Nord è stata pensata impedire gli ingressi dalla UE attraverso la frontiera greca. Il muro sul porto di Calais limita invece gli ingressi in Gran Bretagna attraverso la Manica. A queste barriere artificiali si aggiungono quelle naturali del Mar Mediterraneo, sulle rotte del Canale di Sicilia e del Mar Egeo. Solo nel 2022, nel Mediterraneo, si contano oltre 1800 tra morti e dispersi.

La gestione dell’immigrazione da parte della UE, anche attraverso la l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex), sembra quindi seguire una strategia miope ed ipocrita di chi pensa di fermare le migrazioni anziché considerarle come fenomeno che si è sempre accompagnato alla storia dell’umanità, negando le legittime aspirazioni delle persone al movimento come alternativa, come possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita e come opzione per un futuro lontano da guerra e oppressione. A tale proposito possiamo citare dal preambolo alla Carta di Lampedusa, documento redatto nel 2014 dopo un lungo lavoro da un gruppo largo di associazioni e attivisti che ancora può essere un riferimento per politiche migratorie possibili: “in quanto esseri umani abitiamo la terra come spazio condiviso e che tale appartenenza comune debba essere rispettata. Le differenze devono essere considerate una ricchezza e una fonte di nuove possibilità e mai strumentalizzate per costruire delle barriere”. La fuga da persecuzioni e da guerre verso l’Europa come porto sicuro, implica molte volte l’attraversamento delle frontiere da “clandestini”, in quanto, come abbiamo visto, il diritto alla protezione internazionale viene spesso messo in discussione da politiche nazionali ed europee che si basano sulla militarizzazione dei confini e che, come accade nei casi emblematici della Libia – sulla rotta del Mediterraneo centrale – e del Marocco – a Ceuta e Melilla -, si servono di accordi di esternalizzazione del controllo delle frontiere.

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