Il 29 giugno 2022 è arrivata in aula al Parlamento per l’approvazione definitiva: la proposta di legge “Ius Scholae”. “La Commissione ha concluso l’esame della riforma della legge sulla cittadinanza” ha annunciato Giuseppe Brescia (M5S), presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera e relatore del provvedimento. “Finalmente si va in aula, davanti a tutti gli italiani, per iniziare a saldare un debito con migliaia di ragazzi che si sentono italiani, ma che non sono riconosciuti come tali dallo Stato. Lo Ius Scholae è una risposta pragmatica e semplice a una richiesta di cambiamento diffusa. Non toglie nulla a nessuno, ma aggiunge e crea le condizioni per una società più inclusiva e giusta. Valorizza il ruolo della scuola e dei nostri insegnanti e tiene insieme diritti e doveri”.
L’attuale disciplina della cittadinanza italiana è vecchia di trent’anni. Al di là di modifiche marginali, che non hanno inciso sui suoi aspetti caratterizzanti, in questo lungo periodo che ci separa dal 1992 la legge non è stata oggetto di interventi strutturali, nonostante molteplici tentativi in questa direzione.
La presenza in Italia di oltre 5 milioni di stranieri regolarmente residenti su 60 milioni di residenti rende meno democratico l’ordinamento italiano poiché nega la pienezza dei diritti civili e politici a ben un decimo della popolazione italiana.
Per queste ragioni, non è più rinviabile l’approvazione di una nuova legge e non è tollerabile che un numero, così rilevante, di persone siano poste in basso nella gerarchia sociale che organizza la società unicamente in ragione della nazionalità di origine dei genitori e dei criteri escludenti della normativa che impedisce loro di ottenere la cittadinanza italiana se lo desiderano.
Per articolare una nuova disciplina della cittadinanza, all’altezza della composizione della società contemporanea, è indispensabile che il dibattito pubblico intorno a questo tema colga la portata dei cambiamenti che investono la società.
Certo il testo di legge “Ius Scholae” non risolve completamente tutti i casi; ad esempio sono esclusi dal riconoscimento della cittadinanza, segnatamente le persone arrivate in Italia dopo il compimento dei dodici anni e che pure hanno frequentato per un minimo di 5 anni la scuola in Italia fino ad arrivare alla maturità e spesso all’iscrizione all’università.
E’ giusto migliorare il testo senza creare però un dibattito sterile che ostacoli, come altre volte, l’approvazione di una legge che finalmente renda più democratico l’ordinamento italiano.