di Lorenzo D’Amico
Il titolo iniziale di questo libro era: La coscienza al bando. È un carteggio tra un pilota di Hiroshima, Claude Eatherly ed il filosofo ebreo tedesco Günther Anders.
Claude, dopo aver sganciato l’atomica su Hiroshima, torna in patria negli USA, viene acclamato e festeggiato come eroe nazionale, premiato, intervistato…poi vede la ripresa del fungo atomico e delle sue conseguenze e lentamente sente risvegliarsi la coscienza e cominciano gli incubi notturni, quindi per poter dormire chiede aiuto all’alcool, poi agli psicofarmaci… ma i tormenti aumentano e sente il bisogno non di essere acclamato ma punito e perciò, non trovando alcuna comprensione, va in giro per le casse dei supermercati e delle banche, armato di una pistola finta, fa mettere i soldi in un sacco, lasciando ogni volta il sacco sul banco…viene arrestato, messo in prigione…poi però le autorità si accorgono di avere tra le mani un “caso pericoloso” che può far saltare tutta la logica militare…e lo rinchiudono in un ospedale psichiatrico…ma, ormai è un personaggio e continuano le interviste. A questo punto inizia il carteggio tra Claude il pilota e Günther il filosofo. Siamo al 3 giugno 1959, circa 14 anni dopo la bomba su Hiroshima.
3 giugno 1959, Anders ad Eatherly (pp.21-27):
“[…] Se ci occupiamo delle Sue sofferenze, lo facciamo come fratelli, come se Lei fosse un fratello a cui è capitata la disgrazia di fare realmente ciò che ciascuno di noi potrebbe essere costretto a fare domani; come fratelli che sperano di poter evitare quella sciagura, come Lei oggi spera, tremendamente invano, di averla potuta evitare allora. Ma allora ciò non era possibile: il meccanismo dei comandi funzionò perfettamente, e Lei era ancora giovane e senza discernimento. Dunque, lo ha fatto. Ma poiché lo ha fatto, noi possiamo apprendere da Lei, e solo da Lei, che sarebbe di noi se fossimo stati al Suo posto, che sarebbe di noi se fossimo al Suo posto. Vede che Lei ci è estremamente prezioso, anzi indispensabile. Lei è, in qualche modo, il nostro maestro. […]
[…] i Suoi medici. Non è difficile scoprire perché agiscano così. In fin dei conti sono impiegati di un ospedale militare, cui non si addice la condanna morale di un’azione bellica unanimemente approvata, anzi lodata; a cui, anzi, non deve neppure venire in mente la possibilità di questa condanna; e che perciò devono difendere in ogni caso l’irreprensibilità di un’azione che Lei sente, a ragione, come una colpa. […] ecco perché [i medici] devono chiamare il Suo dolore e la Sua attesa di un castigo una “malattia” […].
[…] le grida dei feriti assordano i Suoi giorni, le ombre dei morti affollano i Suoi sogni […] Lei ha potuto tener viva la Sua coscienza, anche dopo essere stato inserito come una rotella in un meccanismo tecnico e adoperato in esso con successo. E serbando viva la Sua coscienza ha mostrato che questo è possibile, e che dev’essere possibile anche per noi. E sapere questo (e noi lo sappiamo grazie a Lei) è, per noi, consolante. […]
[…] Già quando si è fatto torto a una persona singola (e non parlo di uccidere), anche se l’azione si lascia abbracciare in tutti i suoi effetti, è tutt’altro che semplice “venirne a capo”. Ma qui si tratta di ben altro. Lei ha la sventura di aver lasciato dietro di sé duecentomila morti. E come sarebbe possibile realizzare un dolore che abbracci 200.000 vite umane? Come sarebbe possibile pentirsi di 200.000 vittime? Non solo Lei non lo può, non solo noi non lo possiamo: non è possibile per nessuno. Per quanti sforzi disperati si facciano, dolore e pentimento restano inadeguati. L’inutilità dei Suoi sforzi non è quindi colpa Sua, Eatherly: ma è una conseguenza di ciò che ho definito prima come la novità decisiva della nostra situazione: del fatto, cioè, che siamo in grado di produrre più di quanto siamo in grado di immaginare; e che gli effetti provocati dagli attrezzi che costruiamo sono così enormi che non siamo più attrezzati per concepirli.
[…] Non si faccia rimproveri per il fallimento del Suo tentativo di pentirsi. […] Che, di fronte a questo fallimento, la Sua reazione sia caotica e disordinata, è quindi perfettamente naturale. Anzi, oserei dire che è un segno della Sua salute morale. Poiché la Sua reazione attesta la vitalità della Sua coscienza.
[…] [Lei] è o passa per demoralizzato e depresso. […] essere colpevole come Lei lo è ed essere esaltati, proprio per la propria colpa, come “eroi sorridenti”, dev’essere una condizione intollerabile per un uomo onesto […] Lei ha cercato di provare la Sua colpa con atti che fossero riconosciuti come reati.
Ma anche questo non Le è riuscito. È sempre condannato a passare per malato, anziché per colpevole. […] a ventisei anni, eseguì la Sua “missione” […]
Ed ecco la mia proposta, su cui Lei avrà modo di riflettere. Il prossimo 6 agosto la popolazione di Hiroshima celebrerà, come tutti gli anni, il giorno in cui “è avvenuto”. Lei potrebbe inviare un messaggio da uomo a quegli uomini, che dovrebbe giungere per il giorno della celebrazione. Se Lei dicesse da uomo a quegli uomini: «Allora non sapevo quel che facevo; ma ora lo so. E so che una cosa simile non dovrà più accadere; e che nessuno può chiedere a un altro di compierla»; e: «La vostra lotta contro il ripetersi di un’azione simile è anche la mia lotta, e il vostro “no more Hiroshima” è anche il mio “no more Hiroshima”», o qualcosa di simile […]”
Eatherly ad un reverendo di Tokio, 8 agosto 1960 (pp. 115-116):
“[…] il 6 agosto 1945, ho preso la decisione di dedicare la mia vita al compito di distruggere le cause della guerra e di lottare per la messa al bando di tutte le armi atomiche. […] Vivere anche la vita più dura e più difficile, è il tesoro più bello e il miracolo più straordinario che ci sia. La prima convinzione è adempiere al proprio dovere […] la seconda convinzione è assicurare una vita felice, senza timore, povertà, ignoranza e schiavitù a tutti gli uomini di tutte le razze, rossi, bianchi, neri o gialli […] La mia terza convinzione è che la crudeltà, l’odio, la violenza, e l’ingiustizia non posso
no e non potranno mai dare luogo a un millennio, né in senso morale e spirituale, né in senso materiale. […] Sono passati circa 15 anni da quel voto, ho passato quasi 8 di questi in ospedali, e qualche tempo anche in prigione. Avevo quasi l’impressione di essere più felice in prigione, poiché la coscienza di essere punito dava sollievo alla mia colpa.”
Eatherly è bollato come incapace di intendere e di volere, la sua tutela viene affidata ai fratelli e perciò chiede ad Anders di scrivere lui ai suoi fratelli.
18 agosto 1960, Eatherly ad Anders (pp.117-118):
“[…] ma temo che [i miei fratelli] non possano capire che io rinunci a tutto – nome, carriera e denaro – solo per una causa […] dobbiamo lavorare per salvare il mondo, che significa libertà per tutti […] Devi spiegare loro che il mio sentimento di colpa è sincero, ma che non sono pazzo.”
1° settembre 1960, Anders alla sorella e al fratello di Eatherly (pp. 122-125):
“Con Claude ci scriviamo regolarmente sui problemi che hanno per noi la massima urgenza: quelli del significato e delle conseguenze dell’era atomica. È diventato il problema essenziale per milioni di uomini, è il problema più tremendo che sia mai esistito, poiché implica la possibilità della autodistruzione del genere umano ad opera delle armi, rese possibili dallo sviluppo della fisica nucleare […]
Sarete, naturalmente, pronti ad ammettere che si possono provare rimorsi per il male fatto ad un altro, anche se è stato fatto involontariamente. E non dovrebbe essere intollerabile la coscienza di aver preso parte ad una azione (senza volerlo, si capisce) che ha causato 200000 morti? […] Ciò non dovrà accadere mai più […] Il dolore di Claude e la sua decisione di dedicarsi alla causa della pace, è una prova della sua sincerità ed onestà. La sua “malattia” testimonia della sua sensibilità morale. Sarebbe anormale reagire in modo perfettamente “normale” ad un’esperienza come quella.
In un incontro all’Università di Berlino Ovest uno studente disse: «il distruttore distruggendo gli altri, rimane distrutto a sua volta». E gli studenti erano grati a Claude per aver permesso loro, con le sue sofferenze, di capire quella verità […]
[…] Se si continuerà ad applicare questo metodo di guerra, non ci sarà più posto per nessuna forma di vita”.
31 agosto 1960, Eatherly ad Anders (pp.125-128):
“Tutte queste lettere sono sottoposte a una censura rigorosa […] So che hanno intercettato molte delle mie lettere a te, poiché, spesso, non ho ricevuto risposta alle domande che ti ponevo”
Per poter sbloccare l’internamento di Eatherly, Anders scrive una serie di lettere a varie personalità e giornali.
Anders al presidente Kennedy (pp.144-152):
“[…] Dice Lessing: «chi non perde la testa per certe cose, non ha nemmeno una testa da perdere».
Inoltre: considerare e valutare gesti “criminali” come le strane azioni commesse da Eatherly alla stregua di fenomeni isolati, invece di comprenderli come reazioni, è antiscientifico e indegno della professione medica. E’ lo stesso come se, davanti a un uomo bastonato a morte, ci limitassimo a registrare l’inconsueta intensità delle sue grida, interpretandola come segno della sua anormalità, e lasciando completamente da parte l’anormalità delle circostanze. […] Egli era esaltato come eroe nazionale. Questa aureola di gloria gli era semplicemente intollerabile […]. C’è anche un diritto al castigo”.
L’intervento di tante persone porta il caso di Eatherly in tribunale: per quale ragione è chiuso in manicomio?
10 febbraio 1961, Anders a Eatherly, dopo la sentenza (pp. 152-155):
“Sarai forse lieto di sapere che sono riuscito ad apprendere i particolari del dibattito da una persona che era presente in aula. Si era recato all’udienza senza sapere quasi nulla di te e senza alcun pregiudizio. Egli non appartiene nemmeno al nostro “movimento”. Le sue parole mi hanno riempito di orgoglio per te, poiché egli scrive che hai dato prova di straordinaria presenza di spirito (che sei stato il più brillante di tutti, compresi i dottori e i giudici); che non hai mai perso il tuo humor e la tua arguzia, e, infine, che hai deluso quelli che si sentivano in diritto di giudicare del tuo stato conservando perfettamente il controllo di te ed evitando perfino di manifestare il tuo disappunto, che hai nascosto sotto un sorriso.
Inoltre, la lettera conteneva una osservazione interessante sopra i giurati: che si sarebbero sentiti a disagio (e l’avrebbero anche detto), poiché non riuscivano a identificarti col malato di mente che, a detta dei giudici, avevano davanti a sé; e avrebbero spiegato, o meglio scusato e giustificato la loro decisione, dicendo che «Dopo tutto, gli esperti non siamo noi, i medici devono saperlo, e come potremmo pretendere di contraddire al loro giudizio di competenti?»”
Quanto spesso le nostre responsabilità personali vengono demandate agli esperti: psichiatri, banchieri, economisti…
Le infermiere avrebbero dichiarato, senza eccezioni, di non aver mai notato in te un contegno anormale. […]Sei stato collocato nel reparto dell’ospedale riservato ai pazzi dichiarati e violenti, escluso dai contatti più normali, ma assolutamente indispensabili, con la gente normale […] Qualunque cosa ti possa accadere, non sarai mai un uomo dimenticato. […] Sto scrivendo a giornali, personalità eminenti di tutto il mondo, sto prendendo contatti con una grande casa editrice per pubblicare il nostro carteggio.
10 maggio 1961 Anders ad Eatherly (pp. 167-171). I servizi segreti israeliani sequestrano, in America Latina, Eichmann (l’organizzatore del raduno e sterminio di 6000000 di persone: ebrei, rom, omosessuali, portatori di handicap, detenuti politici…) e lo sottopongono a processo in Israele:
“[…] Claude, quando eseguisti l’incarico che ti era stato affidato, come rotella nell’ingranaggio, non sapevi che cosa facevi. Ma dopo aver visto quello che avevi fatto sei balzato in piedi e hai gridato «No». E a partire da quel primo «No» non c’è più stato giorno in cui tu ti sia rimangiato quella parola. Non ti sei fatto piccolo e non hai cercato di scagionarti con la frase: «Ero solo una rotella nell’ingranaggio, e quindi non sono colpevole», ma hai detto invece: «Se, in quanto semplici rotelle, possiamo diventare così paurosamente colpevoli, allora dobbiamo rifiutarci di fungere da rotelle in questo senso». Eichmann e tu, siete le figure esemplari del nostro tempo. E se non ci fossi tu a fargli da contraltare, avremmo ogni ragione per disperare in questa epoca di Eichmann. […]
Servatius, il difensore di Eichmannn, ha avuto la spudoratezza di affermare: «Un uomo che obbediva agli ordini altrui, come Eichmann, non può essere considerato responsabile più di quanto possa esserlo l’uomo che lasciò cadere la bomba su Hiroshima». Non voglio parlare del fatto che questo paragone non sta in piedi poiché tu e i tuoi compagni avete eseguito due azioni che non potevate fare a meno di ritenere azioni di guerra, mentre Eichmann ha attuato sistematicamente, giorno dopo giorno, e per anni interi, lo sterminio di esseri umani che non avevano nulla a che fare con l’esito della guerra. Ma solo del fatto che tu ti sei assunto la responsabilità di quelle stesse azioni, anche se non sei stato chiamato a risponderne; che hai insistito a dichiararti colpevole, anche se nessuno ti chiedeva di farlo, anche se, ogni giorno ti si continua a chiedere di non farlo. Ed Eichmann dovrebbe essere scagionato dalle sue responsabilità attraverso il confronto con te! Se c’è un uomo che avrebbe il diritto di mettere a posto Servatius o Eichmann, quell’uomo sei tu […]. Hai la fortuna di essere la grande antitesi che ispira conforto e speranza a noi tutti […].
E se un giorno potremo vederti (e dicendo noi penso a tutti quelli che sono stati consolati dalla tua esistenza), allora il sacrificio che ti è stato imposto in questi anni potrà anche apparirti come un nulla. Continuiamo a lavorare in vista di quel giorno.
Poscritto all’edizione americana (pp.185-189):
”[…] Democrazia significa, in fin dei conti, sentirsi responsabili non solo delle proprie azioni e della scrupolosa esecuzione del lavoro che ci è stato assegnato, ma anche delle azioni che riguardano tutti gli altri concittadini e tutti gli altri uomini. Il trionfo della specializzazione e della divisione del lavoro contraddice ai principi della democrazia, almeno quanto la divisione del lavoro, come accade oggi, degenera in divisione delle responsabilità […].
Il testo che abbiamo riletto, in parte, insieme, vuole aiutarci a porci un interrogativo: «Come risvegliare le nostre coscienze? Cosa ci aiuta a essere responsabili delle nostre vite personali e sociali?» Ci sono momenti o anni delle nostre vite, in cui perdiamo la bussola, o per scelte personali o per le onde dalle quali siamo travolti; ci ritroviamo ad avere occhi e non vedere, ascoltare parole ma non sentire… la coscienza, spesso di notte, a volte nel silenzio, a volte in mezzo alla folla , ci rimette in contatto con la parte più profonda di noi stessi e dopo un travaglio più o meno lungo, ci apre un sentiero che ci permette di ritrovare unità, pace con noi stessi e con gli altri…spesso nella totale solitudine. Le grandi fatiche che abbiamo attraversato ci permettono un respiro nuovo, profondità nuove, aperture e relazioni che non pensavamo possibili. Concludiamo con le parole di Eugenio Borgna, uno psichiatra di Novara, nel libretto “Saggezza”: “Riscopriamo nella gentilezza, nel silenzio interiore, e nella vicinanza umana, quella saggezza che ci permette di riprendere il cammino”
Nota bene: Il numero delle pagine si riferisce alla prima edizione, quando il libro aveva il titolo: “La coscienza al bando”